CopistaAperturaUno dei più grandi traduttori dall’arabo del Medioevo (fulgido emblema del dialogo tra culture), una ricca biblioteca perduta di traduzioni di opere scientifiche arabe redatte su carta di panno e una chiesetta romanica alle porte di Cremona: da questi pochi elementi si origina la storia di uno dei centri culturali più importanti (oggi scomparso) che abbia avuto Cremona nel Medioevo. Il fisico Gerardo da Cremona, “cervello emigrato” in Spagna a Toledo, fu il più grande traduttore dall’arabo del XII secolo dopo Costantino l’Africano. Alla sua morte, la sua biblioteca di oltre settanta traduzioni di opere scientifiche arabe venne trasferita a Cremona nella sagrestia della piccola chiesa di S. Lucia, dove in seguito è possibile si sia radicata anche la tradizione della grande scuola toletana dei traduttori dall’arabo. Il tempo ha purtroppo smembrato lentamente la raccolta dei testi (oggi dispersi in varie biblioteche ed archivi, italiani ed europei) ma essa rappresentò un dei primi ingressi della cultura e della scienza islamica nell’Italia settentrionale, costituendo per alcuni secoli un punto di riferimento di vitale importanza per numerosi studiosi, tra cui Adamo da Cremona, Urso da Lodi (allievo di Adamo) e Giambonino da Cremona; e sulla traduzione gerardiana dell’Almagesto studiarono nientemeno che Gerardo Mercatore e Niccolò Copernico.

SantaLucia

E’ ben nota a Cremona la piccola chiesa di S. Lucia, risalente al XII secolo ed ubicata nel Medioevo quasi al centro dell’antica Vicinia Sanctae Luciae alla quale dava il nome. Meno nota è invece la storia della biblioteca scientifica che conteneva nel Medioevo. Proprio qui infatti, nel XII secolo, venne trasportata dalla Spagna una ricca biblioteca di traduzioni di opere scientifiche arabe, eseguite da Gerardo da Cremona.

Nato forse attorno al 1114 e scomparso nel 1187, questo poliedrico studioso rappresenta l’anello che aggancia la città di Cremona ad una delle rinascite culturali più importanti della storia europea: quella del XII secolo. Gerardo fece parte del piccolo gruppo di studiosi ed eruditi che in quel periodo contribuirono al progresso dell’Europa medievale, consegnando all’Occidente lo straordinario fermento scientifico dell’Andalusia islamica. Dopo aver acquisito inizialmente una preparazione di base nello studium cremonese (istituito nell’825 da Lotario I e fulcro di un’intensa vita culturale ricca di relazioni con gli studia di Bologna, Pavia e Mantova) divenendo Magister artium, nel 1135 si trasferì da Cremona a Toledo: in quella luminosa comunità, all’epoca appena riconquistata agli arabi da Alfonso VI di Castiglia ma rimasta un multietnico crocevia di culture, Gerardo imparò la lingua araba occidentale e studiò testi dei dottori musulmani, dedicandosi all’insegnamento, lavorando alacremente alle traduzioni dal 1136 al 1178 e divenendo il miglior traduttore della “scuola” fiorita per impulso dell’arcivescovo toletano Raimondo de Sauvetât: una scuola che, sul modello delle grandi scuole cattedrali francesi del XII secolo, consisteva in un istituto pedagogico, dedito sia alle lezioni che alla ricerca ed alle traduzioni, con sede annessa alla cattedrale toletana (presso la quale lo studioso cremonese risulta registrato come canonico). Secondo la lista compilata nel Memoriale dedicatogli dai suoi allievi, si attribuiscono a Gerardo tra le 74 e le 80 traduzioni di opere scientifiche arabe inerenti geometria, astronomia, filosofia naturale (fisica), medicina, alchimia e geomanzia: sia versioni arabe di opere della scienza e della filosofia greca delle quali il Medioevo latino aveva perduto la cognizione, tra cui la Geometria di Euclide, la Misura del Cerchio di Archimede, il trattato Sugli Specchi di Diocle, il trattato Sulla Sfera di Teodosio e numerose opere della filosofia naturale di Aristotele, nonché della medicina di Ippocrate e Galeno; sia opere di scienziati musulmani, tra cui il celebre Commento alla fisica di Aristotele di Al-Farabi (considerato l’Aristotele del mondo islamico), il Libro sulla complessiva scienza delle stelle di Alfragani, l’Astronomia di Geber, il Commento a Euclide di Anaritius, l’Algebra di Al-Khwarizmi, il Canone della medicina di Avicenna, l’Introduzione alla medicina e il Libro delle divisioni di Al Razi (nella foto), il Libro dei medicinali semplici e dei cibi di Abenguefith, le Gradazioni dei medicinali composti di Al-Kindi e la Chirurgia di Albucasis.

Dove sono finiti i libri di Gerardo?

L’abside della chiesa con accanto la sagrestia, dove dovevano essere custoditi i manoscritti di Gerardo

Dopo la morte di Gerardo nel 1187 pare che suo nipote Pietro da Cremona, su esplicita richiesta dello zio, abbia trasportato nella chiesetta di Santa Lucia tutte le sue traduzioni dall’arabo. Più testimoni sembrano confermare il trasferimento. Una nota che chiude la traduzione gerardiana del trattato di Euclide Sulle divisioni delle figure (Liber Divisionum) recita: “Libro delle Divisioni, tradotto dall’arabo in latino dal Maestro G. da Cremona nella città di Toledo e successivamente portato nella chiesa di Santa Lucia in Cremona, a disposizione dei molti che lo richiedono, dal nipote P. del già citato Maestro G.” (“Explicit liber divisionum translatus a magistro G. (Gerardo) Cremonensi de arabico in latinum in civitate Toletana, postea oblatus Cremonam a magistro P. (Petro) iam dicti magistri G. (Gerardi) nepote in Ecclesia Sanctae Luciae de Cremona, patet multis eum petentibus”). Anche la Cronica composta nel XIV secolo dal bolognese Francesco Pipino riferisce che Gerardo lasciò alla chiesa di S. Lucia la biblioteca composta dai suoi libri (“in Monasterio Sanctae Luciae, ubi suorum librorum bibliothecam reliquit”). Ancor più ricca di dettagli è la descrizione contenuta nelle Note redatte tra XIII e XIV secolo dal giudice cremonese Gasapino Antegnati (uomo di buona cultura, di parte guelfa, vicino alla famiglia dei Torriani) ad un manoscritto del Pomerium Ravennatis Ecclesiae di Riccobaldo da Ferrara (scoperto dal dott. Gabriele Zanella, dell’Università di Pavia): in esse si legge di un «Maestro Gerardo di Santa Lucia, fisico cremonese» e «medico», che ordinò a suo nipote Pietro di «trasferire il tesoro ancora ignoto ai Latini (abitanti dell’Italia in genere, ndr) alla città ed allo studium di Cremona, in onore di Dio e per la buona salute degli uomini» (“accipe absconsum et latinis incognitum thexaurum, et aportat civitati et studio Cremone, sit in honorem Dei et ad sanitatem humani generis”); e difatti Pietro, tornato a Cremona, depositò i libri prescelti nella chiesa di S. Lucia, dove, come lo zio gli aveva prescritto, non impedì a nessuno di farne copie (“Qui Cremone reversus prelibatos libros deposuit in ecclesia Sanctae Luciae Cremone, et ut ei patruus dixerat, qui etiam eidem comiserat ut nemini exemplare volenti exemplum denegaret”).

Traduzione gerardiana della Chirurgia di Albucasis

Oggi purtroppo quella biblioteca non esiste più. All’inizio del Trecento numerosi manoscritti di Gerardo dovevano trovarsi ancora nella chiesa, poiché Gasapino riferisce che «ancor oggi molti di quei libri sono collocati nella sagrestia della suddetta chiesa» (“extant hodie in segrestia dicte ecclesie); e molti di essi dovevano essere ancora autografi, vergati su carta serica così come Gerardo li aveva personalmente redatti a Toledo (“sicuti prenominatus magister Girardus propria manu ipsos translactavit in cartis bombicinis”): la carta di panno infatti (charta bombycinapergamino de pano o charta lintea) arrivò in Europa per il tramite degli arabi, che ne producevano proprio in Spagna, tra Silos e Burgos (successivamente si produsse anche in Italia, a Fabriano). Già nel Trecento però Gasapino riferiva anche che una cospicua parte di quei libri era ormai dispersa, poiché non erano stati restituiti da coloro che li avevano avuti in prestito per copiarli, e, per incuria, non erano mai più stati reclamati (“licet quam plurimi sint deperditi, ex eo quod aliquibus ad exemplandum comodati eos restituere noluerunt, et propter oblivionem non fuerunt requixiti”). Nei secoli successivi gli ammanchi dovettero intensificarsi sino a che della biblioteca non restò più nulla ed i manoscritti si sparsero per tutta l’Europa (una ventina di traduzioni “gerardiane” è conservata oggi nel manoscritto lat. 9335 alla Nazionale di Parigi, altre ancora alla Nazionale di Vienna e all’Archivio Capitolare di Pistoia). Sarebbe senz’altro suggestivo poter oggi riproporre in mostra nella Chiesa di Santa Lucia i manoscritti di Gerardo, ricreando il clima interculturare e cosmopolita che vi si doveva respirare nel Medioevo.

Un polo scientifico di riferimento, forse connesso alla mai identificata “facoltà di medicina” dello studium cremonese

Intorno alla fine del XII secolo, dunque, i libri di Gerardo giungono a Cremona. Gasapino afferma che Pietro, il nipote dello studioso, si curò di proseguire a Cremona, con particolare cura (diligentius), il lavoro dello zio, con l’obiettivo di far rivivere il modello “cattedrale” della grande scuola toletana dei traduttori. E certamente la biblioteca scientifica custodita a Santa Lucia dovette rappresentare un polo scientifico-culturale di notevole interesse sia per l’Italia Settentrionale che per altre zone; sino ad ipotizzare che proprio con quella biblioteca potesse essere in qualche modo connessa quella “facoltà di medicina”, annessa allo studium cremonese, della quale sono stati rinvenuti concreti riscontri: lo stesso Gasapino Antegnati, quando riferisce l’ubicazione dei libri di Gerardo, dice chiaramente che furono portati «civitati et studio Cremonae», deducendo che sul finire del XII secolo doveva già esistere uno studium dedicato alle discipline scientifiche (oltre a quello di giurisprudenza); Gualazzini ha individuato riferimenti all’insegnamento medico negli statuti comunali; Emilio Giazzi ha rinvenuto frammenti pergamenacei che attesterebbero l’esistenza a Cremona, nel XIII secolo, di un insegnamento medico di livello superiore; ed anche Gabriella Zuccolin ha raccolto indizi sufficienti per confermare la presenza, tra XIV e XV secolo, di una vera e propria “facoltà di medicina”, della quale a tutt’oggi è ancora ignota la localizzazione. E’ comunque davvero difficile scartare l’ipotesi, anche in assenza di riscontri certi, che, se non nella nascita almeno nello sviluppo di quella “facoltà di medicina”, non abbia giocato un ruolo chiave la biblioteca delle traduzioni scientifiche di Gerardo Per limitarci ad alcuni esempi, nel 1198 il Magister Urso da Lodi, attivo come docente a Cremona, nel suo Commentario ai Microtegni di Galeno, afferma di conoscere la traduzione gerardiana della versione araba dell’opera (anche se dichiara di non servirsi di essa nelle sue lezioni). Alla perduta biblioteca di S. Lucia dovette avere accesso senz’altro il cantor huius canonicae Adamo da Cremona, autore del famoso trattato di medicina militare De regimine iter agentium vel peregrinatium, per il quale attinse a piene mani dalla traduzione gerardiana del Canon di Avicenna (inclusa la pratica medica della flebotomia). E i testi scientifici arabi conservati a S. Lucia possono avere verosimilmente giocato un ruolo chiave anche nella definizione degli interessi arabistici e scientifici di un altro cremonese, medico e rettore dell’Università di Padova: Giambonino da Cremona, che, per la precisione, era originario di Castelnuovo Bocca D’Adda (anziché di Gazzo, come è stato ipotizzato), poiché nell’incipit che apre la copia del suo De conservatione sanitatis conservata alla Nazionale di Parigi, l’autore si dichiara «nato tuttavia a Castelnuovo Bocca D’Adda» (“nato tamen in Castro Novo Buce Adue”); costui, addottoratosi a Parigi ed attivo nella seconda metà del Duecento a Padova (dove nel 1262 risulta rettore della Facoltà di fisica e scienze naturali), mostrava di conoscere l’arabo direttamente, come Gerardo; e a Venezia aveva composto il Liber de Ferculis et condimentis, estratto in traduzione latina della monumentale enciclopedia dietetico-gastronomica composta dal medico iracheno Ibn Jazla, nel quale Giambonino inserì anche le ricette dei razionali arabi di marubini e torronecon conseguenze intuibili non solamente per il sapere scientifico ma anche per la gastronomia cremonese. Difficile, dicevamo, pensare a tutta questa intensa e fervente attività scientifica cremonese senza postulare una vera e propria “facoltà di medicina”, attorno alla quale essa potesse organizzarsi e svolgersi.

Dov’è finita la salma di Gerardo?

Un particolare della traduzione gerardiana dell’Almagesto di Tolomeo

 Se è possibile ricostruire il percorso e l’attuale ubicazione di molti dei manoscritti di Gerardo, ben più difficile e forse arduo è ipotizzare dove possa riposare il grande Maestro cremonese. Nei versi in suo onore al termine del memoriale lasciato dai suoi allievi si afferma che sia morto a Toledo, nel 1187 all’età di settantatré anni (“Tolecti vixit, Tolectum reddidit astris – Deo gratias”). Alcuni studiosi sostengono sia stato sepolto nella città iberica. Dal canto suo, Francesco Pipino riferisce invece che Gerardo fu sepolto a Cremona, nel monastero di S. Lucia (“sepultus est Cremonae, in Monasterio Sanctae Luciae”). Di quel monastero però doveva essersi già persa ogni traccia nel XVI secolo, giacché non compare nella pianta di Cremona disegnata da Antonio Campi nel 1583. V’è da chiedersi se, più verosimilmente, non venisse confuso con quella che Gasapino definì  la sagrestia della chiesa (“segrestia dicte ecclesie”). Effettivamente esistette un monastero annesso a Santa Lucia, ma venne eretto dai Padri Somaschi nel 1583 quando si insediarono nella chiesa e poi demolito nel 1818 (i Somaschi lo descrissero come «di buona fabrica, di trentasei camere, incluse le officine publiche»). Inoltre, in un documento del 1650 si afferma che nel 1583 il preposito Cristoforo Brumano rinunciò a S. Lucia «dando la chiesa, una casetta et un horticello», senza menzionare monasteri preesistenti. Una consultazione delle carte relative alla fondazione ed alla demolizione del piccolo convento somasco potrebbe forse offrire qualche spunto su ipotetiche salme, di cui tuttavia all’oggi nella chiesa non sembra sia stata trovata traccia.

Gerardo, maestro del dialogo tra culture

Indipendentemente comunque dal luogo della sua sepoltura, Gerardo rappresentò un faro di civiltà, rendendo un servizio di inestimabile valore alla cultura occidentale, per il quale fu a buon diritto celebrato come «nostri fons lux et gloria cleri». La biografia inserita del suo memoriale, molto probabilmente redatta a Cremona assieme all’encomio finale e non a Toledo (dove venne redatta solamente la lista delle opere da lui tradotte), lo descrive affettuosamente come estremamente devoto alla sua missione, con un atteggiamento dimesso ed umile, lontano dalla vanità della gloria e dagli eccessi.  E’ certo che il lavoro dello studioso cremonese costituì allora (e rappresenta tutt’oggi) un tesoro inestimabile per la cultura europea. Gerardo e la sua biblioteca concorsero in modo determinante a quella generale ripresa di indagini, studi e dibattiti culturali che va sotto il nome di “Rinascita del XII secolo”, originatasi da una mutazione sociale e civile (in concomitanza con lo sviluppo delle città) attraverso una più intensa lettura dei classici ed il recupero dello straordinario bagaglio di conoscenze degli arabi; i quali, a loro volta, durante il califfato della dinastia abbaside tra l’VIII e il X secolo, avevano tradotto, metabolizzato ed integrato lo straordinario bagaglio di conoscenze della filosofia e della scienza greca e indo-iranica. Due furono i percorsi attraverso i quali questo immane patrimonio giunse (o tornò) in Europa. La prima fu la via dell’Italia meridionale, che coinvolgeva la Scuola medica di Salerno e Cassino, dove Costantino l’Africano alla fine dell’XI secolo diede impulso ad una straordinaria tesaurizzazione e diffusione del sapere greco e arabo (proseguita dai Normanni e dal “filoislamico” Federico II di Svevia). Di poco posteriore fu l’altro grande canale di diffusione: l’Andalusia islamica, in particolare il cenacolo multietnico di Toledo (successivo alla riconquista cristiana della città) guidato dal cremonese Gerardo. Durante il declino di Salerno poi (tra XI e XIII secolo) emerse progressivamente nel Nord Italia la cultura medico scientifica dei centri universitari di Bologna e Padova, con un potere di attrazione che giungeva sino alla Germania ed al Nord Europa. La diffusione italiana ed europea delle traduzioni di Gerardo seguì dunque il decollo delle Università, le sue opere ebbero anche il ruolo di veri e propri manuali di studio universitario dal XIII al XV secolo e furono usate nelle più tarde edizioni a stampa dei classici del pensiero greco e arabo. Basti ricordare che la traduzione gerardiana dell’Almagesto fu la prima e per molti secoli l’unica versione latina dell’opera a circolare in Europa, destinata a imporsi velocemente come manuale universitario di astronomia: essa costituì, tra l’altro, sia il testo al quale si ispirò nel Quattrocento Gerardo Mercatore per la costruzione del suo Globo Celeste (aggiungendo alle 48 costellazioni tolemaiche la Chioma di Berenice), sia il testo sul quale Niccolò Copernico avrebbe compiuto i primi studi di astronomia tra la fine del XV secolo e l’inizio del XVI. E’ indubbio che nel XII secolo furono la curiosità ed il cosmopolitismo di ingegni poliedrici come Gerberto d’Aurillac (precettore degli Ottoni e, dal 999, Papa con il nome di Silvestro II), Costantino l’AfricanoGerardo da CremonaAdelardo di Bath o Pietro Ispano (medico e filosofo, poi Papa con il nome di Giovanni XXI) a «collocare l’occidente latino ad un livello di conoscenze e competenze scientifiche quantomeno paragonabile a quello delle civiltà allora più scientificamente avanzate, tra le quali quella islamica», come ha osservato Pierluigi Pizzamiglio. Uomini le cui imprese intellettuali furono mosse dalla stessa missione di pace e guidati dalla medesima volontà di integrazione e conoscenza. Fulgidi emblemi di un profondo dialogo tra culture di cui oggi si sente sempre più urgente il recupero. 

di Michele Scolari

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