GuardianoTorrazzoSecondo una leggenda medievale riportata da Jacopo D’Acqui, un leone sarebbe seppellito sotto il campanile romanico del Duomo di Cremona dopo la distruzione della città da parte del re longobardo Agilulfo. Ma la leggenda potrebbe anche fare riferimento ad un periodo storico di molto posteriore all’assedio longobardo: il felice periodo in cui Cremona fu eletta capitale imperiale pro tempore del Nord Italia da Federico II di Svevia (il cui simbolo araldico era proprio il leone).

Quanti sono i leoni posti a proteggere la cattedrale di Cremona? Se contassimo soltanto quelli stilofori, la risposta sarebbe sei: due a sostegno del protiro dell’ingresso principale, due al protiro del portale settentrionale del transetto (scolpiti dal ticinese Giambonino da Bissone forse assieme a Guglielmo da Campione) e due a quello del battistero. Ma se cominciassimo ad includere anche i quattro più piccoli che sorreggono le quattro colonnine della loggia sopra il protiro, il numero salirebbe a dieci. Ed aumenterebbe progressivamente a undici aggiungendo quello alato (simboleggiante San Marco) posto sul capitello destro del portale; a dodici, con quello scolpito sotto i cavalli di luglio (nei fregi dei mesi sopra l’arco gotico del protiro); e, infine, a tredici, con quello posto sul capitello vegetale ai piedi della facciata (volendo si potrebbe conteggiare anche quello non scultoreo ma dipinto, che troneggia nel circolo zodiacale dell’orologio astronomico di Giovanni e Francesco Divizioli). Eppure, alcuni sostengono che ve ne sarebbe ancora uno. Secondo un’antica leggenda, testimoniata nel XIV secolo   ma risalente all’epoca dell’invasione longobarda, nelle fondamenta del Torrazzo giacerebbe sepolto il quattordicesimo leone. Quest’ultimo però non marmoreo: si tratterebbe di un esemplare in carne ed ossa.

Secondo un’antica leggenda, testimoniata nel XIV secolo, nelle fondamenta del Torrazzo giacerebbe sepolto un leone. La narrazione della leggenda è contenuta in un passo della Chronica Imaginis Mundi, scritta tra il 1300 e il 1334 dal domenicano Jacopo d’Acqui. Nell’anno 603 i Longobardi, guidati dal re Agilulfo, diedero l’assedio a Cremona, la quale, rimasta fedele all’Impero Romano d’Oriente, rappresentava l’avamposto più settentrionale dell’Esarcato di Ravenna. A parte le motivazioni politiche (la fedeltà di Cremona a Costantinopoli), secondo una certa tradizione sembra che l’ira di Agilulfo verso la città fosse alimentata anche dal fatto che i bizantini avevano rapito sua figlia e suo genero, portandoli proprio a Cremona. «Nel mese di luglio Agilulfo pose un terribile assedio a Cremona e la prese alle XII calende di Settembre, radendola al suolo, con l’ordinanza che nessuno dovesse abitarci, pena la decapitazione». I cittadini superstiti vennero costretti ad abbandonare la città, sicchè «per lungo tempo Cremona rimase disabitata – gli abitanti avevano fondato borghi e villaggi nei boschi verso Lodi e sugli isolotti del Po – e divenne deserta per quasi vent’anni. Capitò dopo molto tempo dopo che un certo gran principe Gallico passasse di lì in buona comitiva e che si accampasse per caso nel luogo dove c’era stata Cremona. Ed ecco che un leone si avvicinò zoppicando e mostrò la zampa lesa da una spina al principe, il quale, per nulla spaventato, curò la zampa del leone che subito sparì e, dopo un’ora, tornò con un capriolo in bocca deponendolo ai piedi del principe. Quando questi ripartì, il leone lo seguì domesticamente fino a Roma, dove il principe, stando col suo leone, apprese che il luogo in Lombardia dove aveva incontrato il leone era la città di Cremona. Dopo che il principe fu ripartito da Roma, il leone che lo seguiva morì. Allora il principe portò con sé le sue ossa in Francia e, quando tornò in Lombardia, a Cremona, riedificò la città; e per prima cosa pose le ossa del leone nelle fondamenta del muro dove c’è il Torrazzo (“et in fundamento muri ubi est torratium ossa leonis primo posuit”). E questa è la causa per cui in cima al Torrazzo è posto un leone, e dev’essere con la zampa alzata, in ricordo del primo vero leone che sollevò verso il principe la zampa ferita dalla spina».

La medesima leggenda riaffiora nel 1515, nella Chronica seu historia di Domenico Bordigallo (riprendendo probabilmente la Cronica di Jacopo): «Al di sopra dei merli, un certo principe gallico, per un suo voto in cammino alla volta della città di Roma, decorò il Torrazzo moltissimo con la torre e con la pigna e con la ghirlanda. E seppellì nelle fondamenta della Torre (“in pede turris sepelivit”) il leone suo familiare, venuto a morire. In memoria di questo eresse, sopra le mire, anche un leone in bronzo, rivolto a Parma. Dal metallo di questo leone, dopo lunghi tempi, secondo le cronache fu fabbricato un gran tintinnambulo, ossia la campana grossa». La notizia della presenza di un leone bronzeo sulla guglia del Torrazzo ricompare nel 1585 nella Cremona Fedelissima di Antonio Campi (pagg. 62-63): «1350 […] nel mese di maggio fu da cremonesi posto un leone di bronzo dorato nella cima del Torraccio». Ed ancora nel 1588, Ludovico Cavitelli, in un passo dei suoi Annales, riprende la vicenda, riportando che nel 1283, nel corso di interventi di abbellimento della Cattedrale, i Guelfi cremonesi «fusero il leone di ottone che era stato precedentemente posto in cima al Torrazzo, in ricordo del leone un tempo prostrato ai piedi dell’Eroe Gallico e delle sue ossa poi seppellite nelle fondamenta di questa Torre, quando fu riedificata la stessa città, distrutta da Agilulfo Longobardo, per opera dell’Eroe».

In tale leggenda (della quale non si hanno attestazioni precedenti la Imago mundi di Jacopo), vi sono senz’altro alcuni elementi da rifiutare recisamente: ad esempio l’attribuzione all’ignoto eroe gallico della ricostruzione di Cremona e dell’edificazione della pigna e della Ghirlandina del Torrazzo. Inoltre, nessuna evidenza archeologica pare confermare che la distruzione di Cremona da parte di Agilulfo abbia raggiunto i livelli catastrofici narrati da Jacopo (ripresi probabilmente dall’Historia di Paolo Diacono).

E, per concludere, durante lo scavo effettuato sotto il Torrazzo nel 1980 non fu rinvenuto alcun resto osseo attribuibile ad un leone o a qualsiasi animale di grossa taglia. Del resto, con le parole del medievista Aldo Settia, «la Chronica di Jacopo appare come un bacino collettore di leggende di ogni genere e come palestra della loro riutilizzazione. Egli è probabilmente sia il raccoglitore sia l’ingegnere che “smonta” le leggende e le ricompone secondo modalità e scopi non ancora indagati a fondo». In effetti, nella leggenda cremonese riecheggiano fortemente la storia di Androclo e il leone (riportata da Fedro, Eliano e Aulo Gellio), quella del Leone e del pastore (accennata in Seneca e ripresa da Gellio), quella di San Gerolamo e il leone (contenuta nella Legenda Aurea di Jacopo da Varazze), nonché quella della fondazione di Novara (proposta dal Liber gestorum del notaio novarese Pietro Azario, contemporaneo di Jacopo d’Acqui. Sicché la leggenda del leone sotto il Torrazzo sembra davvero un “montaggio” delle tre precedenti: l’episodio del leone curato ed addomesticato nelle storie di Androclo, del Pastore e di San Girolamo, sembra saldarsi con quello relativo alla fondazione di una città ad opera di un nobile franco diretto a Roma, riportata nella cronaca di Azario.

Tuttavia, la leggenda leonina cremonese potrebbe forse, involontariamente, contenere anche qualche elemento un po’ più realistico. Anzitutto, vi si ricava la notizia della presenza, nel XIII secolo e fino al 1283, di un leone rampante di bronzo o di ottone sulla guglia del Torrazzo (quindi antecedente a quello di San Marco che i veneziani fecero apporre sulla guglia nel 1506, poi distrutto da un fulmine nello stesso anno). Ma per quale motivo era là? La leggenda venne “montata” ad hoc semplicemente per spiegare la presenza del leone duecentesco sopra il Torrazzo? Oppure la fusione del leone bronzeo da parte dei guelfi potrebbe far ipotizzare una sua connessione con i ghibellini, appoggiati da Federico II di Svevia (sullo stemma della cui casata, gli Hohenstaufen, campeggiavano tre leoni rampanti)? Oppure potrebbe essere ricondotto alla costellazione del Leone, sotto la quale, secondo Cavitelli, era posta Cremona? Secondariamente, qualche studioso ha ipotizzato che, a partire dalla leggenda, si possa retrocedere la data d’inizio del cantiere della Torre, non certo sino all’epoca longobarda ma almeno a prima del 1283: un’ipotesi indubbiamente affascinante che potrebbe aprire nuove strade per lo studio del complesso della Cattedrale di Cremona; relativamente al quale, per inciso, stupisce non poco la scarsità documentale sulla fabbrica del Torrazzo, a fronte della dovizia di particolari su quella della Cattedrale, nella Fabbriceria.

Il leone posto sul capitello vegetale ai piedi della facciata della Cattedrale
Il leone posto sul capitello vegetale ai piedi della facciata della Cattedrale

Per concludere dunque, la leggenda dell’ignoto principe Gallico e del leone induce a due ipotesi: o è stata creata per spiegare la presenza del leone bronzeo (duecentesco secondo Cavitellie Bordigallo, trecentesco secondo Campi) sulla guglia del Torrazzo; o può essere intesa come allegoria del felice periodo federiciano di Cremona (sotto il quale la città effettivamente “rinacque”, entrando in uno dei suoi periodi di massima fioritura non solamente politico-economica ma anche culturale); oppure si è tramandata oralmente una vicenda che in qualche modo rispondeva a verità e che a noi è giunta sotto una forma di difficile interpretazione. Non è verificata comunque l’ipotesi che i leoni marmorei del Duomo fossero stati scolpiti in memoria del leone seppellito sotto la Torre. La data riconosciuta in cui vennero scolpiti è quella riportata dal Cavitelli (il 1283-84) ma gli studiosi sono concordi nell’attribuirne almeno due allo scultore ticinese Giambonino da Bissone, senza specificare se vennero scolpiti per supplire la fusione del leone posto sulla guglia e per ricordare il leone sepolto sotto il Torrazzo.

Uno dei due leoni stilofori che sorreggono il protiro della Cattedrale
Uno dei due leoni stilofori che sorreggono il protiro della Cattedrale

In generale, l’iconografia leonina nell’arte è assai antica e vi si sommarono e si stratificarono significati diversi e contributi di culture tra loro differenti e lontane (tanto da non poter essere ridotto entro schemi interpretativi rigidi): dai leoni “solari” posti come custodi sulla soglia degli antichi templi egizi, sino ai leoni funerari dell’arte romana (sia custodi che divoratori di vita). E ancora nell’arte paleocristiana (e successivamente romanica) il leone (simbolo complesso di forza, coraggio e giustizia) è anche un “custode” con evidente funzione apotropaica ed assume un aspetto terribile per dissuadere le potenze del male e per esprimere il tremendum che è nel sacro. Con questo significato (e non come lasciti del dominio veneziano, come invece ancora raccontano certe guide turistiche disinformate) numerosi leoni marmorei troneggiano in molte basiliche, palazzi e chiese romaniche della Pianura Padana e dell’Italia meridionale, inclusa Cremona: dove al cospetto imponente della Cattedrale, con i suoi tredici leoni (o forse quattordici, con quello che forse ancora riposa sotto la torre) a guardia delle porte e del Torrazzo, il male era ammonito a non varcare la soglia di quel monumentale luogo sacro e del campanile che vi sta a sentinella. Quasi a dire «hic sunt leones».

di Michele Scolari
Pubblicato su “Il Piccolo” di Cremona, edizione di sabato 30 novembre 2013

© RIPRODUZIONE RISERVATA